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Il principio del non fare nello shiatsu, significa che non abbiamo alcuna intenzione nel nostro lavoro?
Una risposta di Paul Lundberg
Introduzione - non Zen Shiatsu
La risposta veloce alla domanda deve sicuramente essere "No", ma vediamo le ragioni di questa risposta e magari sviluppiamone di più soddisfacenti.
Prima di tutto dobbiamo avere ben chiaro cosa intendiamo per "non fare". Questo concetto viene spesso sbandierato a vuoto nel nome dello Zen, assieme ad altri temi favoriti quali la spontaneità e la naturalezza. La connessione dell'idea del "non fare" con lo shiatsu potrebbe avere a che fare con il "Zen Shiatsu" adottato da Masunaga come titolo del suo libro (suggeritogli da W. Ohashi come vantaggioso a fini di vendita in America, da quanto mi risulta), o potrebbe semplicemente essere che lo shiatsu e lo Zen originano dalla stessa cultura e nient'altro.
In effetti, nonostante venga data molta attenzione nel suo libro ad Hara, ed alle qualità di tocco semplici dirette e naturali che derivano da un addestramento di Hara, per non parlare di alcuni riferimenti occasionali alla meditazione, il lavoro di Masunaga è lontano dall'interessarsi al non fare o al non attaccamento a cui si connette. Al contrario, è pieno di teorie sul Ki - originate dalla medicina tradizionale cinesefisiologia e biologia; per non parlare di tecniche di trattamento, interpretazioni diagnostiche e risultati attesi.
Per cui non è veramente dallo Zen Shiatsu che ci arriva l'idea del non fare, anche se forse è dallo zen stesso. La maggior parte di noi avranno coscienza di questo principio, e fino ad un certo punto della sua applicazione pratica, in relazione al Buddismo o a filosofie Maoiste, o da unioni delle due. In effetti il Buddismo Ch'ang cinese ha assorbito molta dell'influenza Taoista ed è stato l'antenato dello Zen giapponese.
Un poco di background personale
In effetti, il classico racconto, "lo Zen e il tiro con l'arco", da cui partì il trend Zen a metà del 20° secolo, riporta in vita la disciplina mentale e fisica intrinseca all'addestramento Zen - e il concetto di sforzo senza sforzo! Almeno per me, questo libro è stato una prima introduzione alla maniera del Buddismo in generale e dello Zen in particolare di confrontarsi con la natura paradossale dell'esistenza, con l'auto realizzazione e l'azione nel mondo. Da autori quali D.T. Suzuki, Arthur Waley and Alan Watts, ho imparato di più sull'argomento meditazione Buddista, svuotamento della menete dai pensieri concettuali, il problema "Wu Wei" (non-azione) e la sua traduzione come spontaneità pura, "wei-wu-wei" (azione - non azione). Un po' più tardi ho fatto conoscenza io stesso di alcune pratiche Buddiste di meditazione ed ho quindi cominciato un viaggio interiore più serio.
Tra i molti insegnanti lungo questo percorso sinuoso, che include lo studio e la pratica dello shiatsu, c'è il mio mentore ed amico di lunga Akinobu Kishi. Già prete Shinto iniziato Kishi ha studiato anche lo Rinzai Zen ed è un maestro di questo approccio alla vita ed alla guarigione. Lavorò con Masunaga 10 anni e fu il suo assistente principale prima di andare per la sua strada. È fuori dal flusso principale, eppure lo sviluppo dello shiatsu degli ultimi 20 anni è stato indubbiamente colpito dalle controcorrenti della sua influenza. Incontrai Kishi ed andai in Giappone per studiare con lui nel 1981. Da allora ho passato molte ore in sua compagnia, sia per l'insegnamento formale che per condividere il piacere degli affari quotidiani. Grazie alla sua influenza ho concretamente sviluppato la mia personale percezione e pratica di un modo di trattamento spontaneo, che è sia formale, sia senza una forma predefinita, piena di intenzione, ma senza scopi specifici; una cerimonia di vita e movimento piena di possibilità, eppure fondamentalmente vuota. Il mio interesse per la tradizione Daoyin, mi ha portato a studiare anche con un altro maestro nel campo del Qigong e della guarigione, il Dr. Shen Hongxun, il cui insegnamento confermò per me che il Daoyin è una pratica incentrata principalmente sullo "sforzo senza sforzo". Bè l'ho raccolta come mia pratica per la vita, per cui mi sento in grado di contribuire in qualche modo alla discussione in corso.
Per tornare alla/e domanda/e
"Stando seduti nella quiete senza fare nulla, la primavera arriva e l'erba cresce da sola" questo detto Zen così eloquente è epitomo per qualcosa di essenziale per quanto riguarda la meditazione e il principio del non intervento, che è anche molto Taoista. Lao Tsu scrisse, "vuoi migliorare il mondo? Non penso si possa fare. Il mondo è sacro e non può essere migliorato. Se interferisci lo rovinerai." ecc. Per cui I Taoisti sono inclini all'andare semplicemente con il flusso. Questo significa però, studiare il flusso.
In relazione al trattamento, sorge spontanea una domanda, "qual'è la funzione di questa malattia e dei suoi sintomi per la persona che è qui con noi?" dobbiamo quindi allinearci con questa funzione, o le nostre azioni andranno contro corrente.
Ritornando alla meditazione e il "solo star seduti", o Zazen.
Una delle prime cose che si mostrano è che il fare nulla è impossibile. A parte le azioni ovvie come respirare o pensare occasionalmente un pensiero, uno si rende conto che semplicemente star seduti è fare qualcosa di ben definito ed a tutti gli effetti anche difficile, se uno ha intenzione di perseverare. Non è forse questo il concetto stesso di addestramento? Se è così, abbiamo dunque intenzione di addestrarci e la pratica consiste nel fare il meno possibile esternamente ed decisamente di più - siamo impegnati ad addestrare la nostra mente e il nostro corpo in una determinate maniera. Questo significa divenire più consapevoli; sviluppare la nostra coscienza principalmente attraverso la pratica dell'osservazione, del sè e del mondo; forse per controllare I reami sensoriali e realizzare l'impermanenza o natura illusoria dell'esistenza, per liberarci degli attaccamenti basati sull'ego che portano nulla se non sofferenza, e tutto il resto del malloppo Buddista.
Una volta dentro, la meditazione rivela l'impossibile follia del non fare, del non intervenire, solo star seduti, l'intero pacco. Decidere di non fare qualcosa, può essere altrettanto radicale e influente nel mondo quanto farlo. Forse dovremmo agire, ma se è così, quando? (il tempismo è tutto - ancora Lao Tsu ). E non possiamo neppure sfuggire questa responsabilità decidendo di non decidere, o ignorando l'intero campo, o spettro, di sempre nuove domande, nella speranza che se ne vadano tutte. La meditazione dà la sveglia e può essere un po' spaventoso. Ma sistema la questione del non avere intenzioni ben chiaramente. Se non abbiamo intenzioni, siamo addormentati. Il problema è che molti di noi sono addormentati, o stanno sognando, anche se abbiamo alcune intenzioni. Qual è la nostra vera intenzione effettivamente?
E la domanda da 64 euro è - cosa ha a che fare l'intera faccenda con lo Shiatsu?
Cos'è lo Shiatsu in fondo? Dovremmo forse meditare su questo prima di proseguire.
È forse il trattamento shiatsu una meditazione di per sé, è forse questo quanto implica la nostra domanda di partenza?ma perché coinvolgere i nostri clienti nella nostra pratica personale? Stanno cercando qualcosa di specifico da noi, come per esempio medicina o guarigione o diagnosi o consigli, no? Certo che sì. L'abbiamo suggerito offerto noi. Che significa quindi tutta questa faccenda del non fare?
Ah, lo so io! Deve voler dire, osservare il nostro impulso ad agire, trattare, uscire dalla forma, seguire il Ki, fare raccomandazioni, ecc. non solo andare avanti con l'intero programma. "per curare l'essenza della malattia, non assumere una sola goccia di medicina o pronunciare una sola sillaba di una cerimonia di guarigione. Non pensare alla malattia come uno ostacolo né considerala una virtù. Lascia la tua mente libera e senza costrutti - taglia attraverso il flusso di pensieri concettuali .........ecc." (Padmasambhava).
Fate spazio, ecco! Rilassatevi, sbollite, allentate tutto - sedetevici assieme; sedete con il cliente. Dobbiamo veramente andare avanti ad inseguire il Ki tutto il giorno? No verrà dunque la montagna a Maometto?
"Non-azione", nulla, è la cosa che conta - la pratica; la vulnerabilità di non sapere, la sensibilità, e la percezione della vita che ne derivano.
di Paul Lundberg
traduzione di Lisa Ovi |
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